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alcuni concetti base della costituzione Repubblicana

 

Il 2 giugno del 1946 è stata eletta l'Assemblea Costituente, della quale facevano parte diverse forze politiche: democristiani, socialisti, comunisti, liberali. Ognuna di questa forze ha dato il proprio contributo e nella Costituzione possiamo ritrovarne le diverse componenti, oltre a un nucleo centrale di valori condivisi.
Queste forze, però, sono eredi di tradizioni che affondano le proprie radici in periodi molto più lontani nel tempo, in tradizioni che hanno caratterizzato la storia italiana e dell'Occidente in generale, dalla componente liberale che è andata affermandosi fin dal '600, a quella democratica figlia di Rousseau e della Rivoluzione francese, a quella socialista che si diffonde nell'800, parallelamente alla nascita della grande industria, a quella democristiana, nata all'indomani della grande guerra ma erede dei principi e della tradizione del cattolicesimo italiano.

COMPOSIZIONE ASSEMBLEA COSTITUENTE DEL 1946

Partiti

Seggi

Percentuale

DC (Democrazia cristiana)

207

35,2%

PSI (Partito socialista italiano)

115

20,7%

PCI (Partito comunista italiano)

104

20,6%

UDN (Unione democratica nazionale)

41

6,5%

Uomo Qualunque

30

5,3%

PRI (Partito repubblicano italiano)

23

4,3%

Blocco nazionale delle libertà

16

2,5%

Pd'A (Partito d'Azione)

7

1,1%

Altri

13

3,8%

I motivi di fondo della nostra Costituzione rimandano alle origini del mondo moderno, ai concetti di «contrattualismo» e di «giusnaturalismo» che sono andati definendosi tra il '500 e il '600, a quelli di «liberalismo» e «democrazia», teorizzati compiutamente nel '600 e nel '700, a quelli di uguaglianza, di uguale dignità e di centralità del lavoro, affermatisi nel corso dell'800. Per certi aspetti, poi, occorre andare ancora più indietro, fino alla Grecia classica, dove hanno avuto origine la democrazia e la filosofia.

architettura del testo costituzionale

la costituzione italiana

Artt.

PREMESSA: Principi fondamentali

1 -12

parte I
Diritti e doveri dei cittadini

titolo I

 

Rapporti civili

13 - 28

titolo II

 

Rapporti etico sociali

28 - 34

titolo III

 

Rapporti economici

35 - 47

titolo IV

 

Rapporti politici

48 - 54

parte II
Ordinamento della Repubblica

titolo I

Sezione I

Le Camere

55 - 68

Sezione II

La formazione delle leggi

69 - 82

titolo II

 

Il Presidente della Repubblica

83 - 91

titolo III
Il Governo

Sezione I

Il Consiglio dei ministri

92 - 96

Sezione II

La Pubblica Amministrazione

97 - 98

Sezione III

Gli organi ausiliari

99 - 100

titolo IV
La Magistratura

Sezione I

Ordinamento giudiziario

101 - 110

Sezione II

Norme sulla giurisdizione

111 - 113

titolo V

 

Le Regioni, le Province, i Comuni

114 - 133

titolo VI
Garanzie
costituzionali

Sezione I

La Corte Costituzionale

134 - 137

Sezione II

Revisione della Costituzione
Leggi costituzionali

138 - 139

disposizioni transitorie e finali

I - XVIII

 

Democrazia

È il "governo del popolo"; come modello politico si afferma in Grecia a partire dal sec. VI a. C.
La democrazia ateniese, che funzionava per elezione e per sorteggio, era stata concepita tale per offrire a tutti (in realtà soltanto ai cittadini liberi di sesso maschile) la possibilità di governare e per impedire che si formasse un ceto politico "chiuso" di specialisti.
La democrazia antica, tuttavia, era diversa da quella attuale, perché era "diretta", cioè non rappresentativa. La democrazia italiana è di tipo rappresentativo: i cittadini eleggono i propri rappresentanti al Parlamento, composto da due Camere (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) che svolgono gli stessi compiti (bicameralismo perfetto). Il suffragio è universale.

Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 48
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
[...].
Il diritto voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile e nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.

Art. 49
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Art. 55
Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[...].

Art. 56
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
[...].
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
[...].

Art. 58
I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età.
Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.

"Democrazia" non vuol dire che "la maggioranza ha sempre ragione"; indica piuttosto un metodo o una procedura per giungere a prendere decisioni condivise. In democrazia è essenziale, infatti, che la minoranza abbia la possibilità di esprimersi e di far valere le proprie ragioni; in caso contrario il regime non sarebbe democratico, ma populista, cioè un'egemonia della maggioranza che soffoca ogni dissenso.

Forme di Stato e forme di governo

Con "forma di governo" si intende il modo in cui sono gestiti istituzionalmente i diversi poteri che costituiscono lo Stato. Le forme di governo più diffuse sono la monarchia e la repubblica.
Diverso è il concetto di "forma di Stato", che può essere variamente articolato:
 - in base al fondamento e all'articolazione del potere, si parla di Stato democratico, liberale, dittatoriale ecc.;
 - in base al grado di accentramento, si parla di Stato unitario, di Stato federale, di confederazione ecc.
Stato e governo, tuttavia, sono correlati e quindi la distinzione tra le due espressioni non è sempre netta.
L'Italia è diventata una repubblica con il referendum del 2 giugno 1946 e una repubblica democratica quando, dopo due anni di regime transitorio, il 1° gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione. Fino al 1946 l'Italia era stata una monarchia e, prima ancora, nel ventennio fascista, una dittatura di fatto, benché formalmente il re avesse conservato il proprio potere.

Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Disposizioni transitorie e finali, XII
È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.

Disposizioni transitorie e finali, XIII
[I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici, né cariche elettive. Agli ex re di casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale. Testo che ha esaurito i propri effetti con legge costituzionale 23 ottobre 2002, n. 1]
I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli.

La Repubblica italiana, al suo nascere, ha fatto i conti, per così dire, con il suo passato, e in particolare con il fascismo e con la monarchia. Per il primo ha stabilito un divieto permanente di ricostituirne il partito, per la seconda ha sancito l'esilio dei discendenti maschi della Casa Savoia, cioè di coloro che avrebbero potuto rivendicare il trono. Nell'ottobre del 2002 il Parlamento ha dichiarato, con una legge, la cessazione degli effetti della Disposizione XIII, consentendo il rientro dei Savoia in Italia.

Associare la democrazia alla repubblica e considerare la monarchia in qualche misura un governo autoritario, perché prevede la figura di un capo di Stato non eletto, non è corretto. Ci sono infatti molti Stati monarchici, ma al tempo stesso democratici. È il caso, ad esempio, di tutte le monarchie europee, peraltro numerose: la Spagna, la Gran Bretagna, la Danimarca, il Belgio ecc.

L'Italia è però una repubblica "parlamentare": ciò significa che il Governo deve avere la fiducia del Parlamento per poter governare. Altre repubbliche, ad esempio quella statunitense, sono invece "presidenziali", perché il presidente (della repubblica) è anche il capo dell'Esecutivo (il Governo) e non ha bisogno della fiducia del Parlamento per governare.
L'Italia è poi uno Stato "unitario", mentre altri Stati repubblicani (USA, Spagna, ecc.) sono Stati "federali". L'introduzione del federalismo e del presidenzialismo in Italia, argomenti che da anni occupano il dibattito politico, implicherebbero un'incisiva modifica della Costituzione.

La famiglia

Il termine latino familia designava il complesso dei famuli (i "famigli"), ossia dei servi, tra i quali erano annoverati anche i figli.

La "famiglia", così come è recepita dal testo costituzionale, è intesa come un'istituzione naturale, necessaria per l'allevamento e l'educazione della prole, nucleo fondamentale dello Stato.
È pur vero, peraltro, che le forme specifiche di organizzazione dei nuclei familiari possono considerarsi anche sotto il semplice profilo socio-culturale, non ontologico, come dimostrerebbero empiricamente i cambiamenti avvenuti nel corso della storia, ove si sono manifestate modalità varie del gruppo, che vanno dall'organizzazione comunitaria delle società tribali sino alla famiglia mononucleare delle società occidentali moderne, dalle strutture matrilineari presenti in molte popolazioni di aree ed epoche diverse, fino alle svariate forme di articolazione della famiglia patriarcale.
Negli ultimi decenni, inoltre, il dibattito politico è stato teatro di accese discussioni relative alle profonde modificazioni degli stili di vita, dei rapporti interpersonali e delle forme di convivenza sociale.

Art. 29
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Art. 30
È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i membri della famiglia legittima.
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Art. 31
La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Nell'ordinamento giuridico italiano coesistono due tipi di matrimonio. Quello civile è celebrato davanti al sindaco ed è interamente sottoposto alle leggi dello Stato. Quello concordatario, celebrato davanti a un sacerdote della Chiesa cattolica secondo le regole del diritto canonico, acquisisce effetti civili dopo la trascrizione nei registri dello stato civile.
Dal punto di vista giuridico, la principale differenza fra i due istituti sta nella dissolubilità: dal 1970, infatti (referendum sul divorzio), il matrimonio civile e gli effetti civili di quello concordatario possono essere annullati a seguito di una sentenza di divorzio.

L'articolo 30 regola i rapporti tra figli e genitori. Questi ultimi hanno il diritto (ma anche un imprescindibile dovere) di provvedere al mantenimento, all'istruzione e all'educazione della prole. Quando non sono in grado di farlo, lo Stato può dichiarare la decadenza della loro potestà, ordinando l'allontanamento del minore dalla famiglia e la sua adottabilità.
Per il principio dell'uguale dignità sociale di tutti i cittadini, la Costituzione prescrive che non si faccia differenza tra figli legittimi e figli nati fuori dal matrimonio, cosiddetti "naturali" (cioè ex natura, ma non de iure) a loro volta distinguibili in "riconoscibili", ovvero nati da rapporti adulterini o non matrimoniali, e "irriconoscibili", cioè nati da rapporti incestuosi.
Fra gli obblighi dei genitori non vi è quello di riconoscere i figli, purché la rinuncia alla genitorialità avvenga al momento della nascita. La norma tutela così i neonati "indesiderati", sia per evitare il loro abbandono o addirittura la loro soppressione, sia per rendere più celeri le procedure di adozione.

Benché la rilevanza data al matrimonio sia preminente nella Costituzione, il diritto di famiglia riconosce l'esistenza anche alle famiglie di fatto, costituite da persone di sesso diverso conviventi more uxorio, ossia come se fossero marito e moglie, purché il legame sia stabile. Tale forma di convivenza, diversa dal matrimonio legittimo, viene ricondotta dal diritto a quelle "formazioni sociali in cui si svolge la personalità" i cui diritti sono garantiti dall'art. 2 della Costituzione.
Di rilevanza è divenuto recentemente lo status delle unioni di persone dello stesso sesso (unioni PACS in Francia e DICO in Italia).

Il cittadino solidale

Il cittadino italiano non è né suddito né individuo.
Le dottrine politiche assolutistiche o totalitarie interpretano l'indipendenza personale nel senso della sudditanza, condizione nella quale il soggetto è dotato di poche o di nessuna libertà nella misura in cui bisogni e diritti devono regolarsi sulla base delle superiori esigenze della collettività. L'approccio del liberalismo classico, al contrario, vede nel cittadino l'individuo singolo, separato dalla comunità e spesso ad essa contrapposto, sia per il suo naturale egoismo sia per la necessità di difendersi dall'invadenza del potere.

La Costituzione italiana sceglie una via intermedia, definibile come "solidaristica", la quale, pur centrando sull'individuo il sistema delle libertà, sottolinea tuttavia la sua naturale propensione al rapporto sociale. Il cittadino, il protagonista della Carta, è quindi un essere umano strutturalmente aperto alla solidarietà, consapevole che la sua realizzazione personale non può essere raggiunta senza un costruttivo rapporto con gli altri cittadini.

La dottrina solidaristica è parte integrante della dottrina sociale della Chiesa cattolica, che ha recepito e interpretato il concetto aristotelico di naturale socialità dell'uomo.

L'elemento doveristico presente nel solidarismo è invece di matrice stoica e fa riferimento all'etica della partecipazione del cittadino alla res publica tipica della romanità classica.

Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 53
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

I diritti inviolabili dell'uomo preesistono alla Costituzione, che si limita o prenderne atto: essi sono quindi irrinunciabili, inalienabili, sottratti alla revisione costituzionale e universalmente validi, non solo quindi per i cittadini ma anche per gli stranieri, compresi quelli irregolari.
Le "formazioni" in cui si concretizza la socialità sono in primo luogo la famiglia e poi la scuola, l'associazionismo politico e sindacale, le confessioni religiose, le comunità locali e tutti gli enti privati che concorrono a formare la società civile.
Il principio solidaristico si esprime in primo luogo nel criterio di progressività che regola il prelievo fiscale, secondo il quale la quota del proprio reddito che i cittadini devono versare allo Stato cresce in rapporto alla loro capacità contributiva. I ricchi, insomma, devono pagare complessivamente più tasse dei poveri, sia in assoluto sia in percentuale, e questo permette allo Stato di ridistribuire la ricchezza sociale secondo un ideale di equità: chi ha di più contribuisce in misura maggiore, per solidarietà, al benessere di tutti. D'altra parte, lo stesso articolo stabilisce che tutti sono tenuti a pagare le tasse, quindi anche gli apolidi e i cittadini stranieri residenti in Italia.

Lo stretto legame posto dall'articolo 53 fra l'onere fiscale e la capacità contributiva implica che solo ciò che è suscettibile di una valutazione economica può essere oggetto di tassazione: sarebbe incostituzionale una legge che imponesse ad esempio una tassa su un tipo di stato civile o su una condizione sociale.

Fra i doveri inderogabili di solidarietà politica sembrerebbe esservi anche quello di votare.

Art. 48
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
[...].

In realtà, la nozione di «dovere civico» è oscura dal punto di vista giuridico, non è rintracciabile in alcun altro articolo della Carta e fu usata dai costituenti per raggiungere un compromesso tra i fautori dell'obbligatorietà giuridica del voto (che prevedevano quindi sanzioni per i trasgressori) e coloro che, inserendone l'esercizio nel quadro del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, erano ostili a qualunque tipo di intervento impositivo.
Di fatto, non c'è alcun obbligo nel recarsi a votare e nel 1993 è stata abrogata anche la norma che prevedeva la menzione «non ha votato» nel certificato di buona condotta (documento che attesta l'onestà, l'integrità morale e la dignità dell'intestatario), originariamente prevista per i non votanti.

Potere politico e autorità religiosa

Il fatto che il papato, sede primaziale della Chiesa cattolica, sia in Roma ha condizionato la storia italiana, in particolare quella successiva all'unità risorgimentale, creando una situazione originale per unicità che negli ultimi decenni ha attraversato una trasformazione, almeno dal punto di vista giuridico.
Lo Statuto Albertino (promulgato originariamente per il Regno di Sardegna nel 1848 e poi esteso al Regno d'Italia nel 1861) riconosceva nell'articolo 1° la religione cattolica come la sola religione dello Stato, ammettendo per gli altri culti solo una forma di "tolleranza".
Tale principio sarebbe poi stato ribadito nei Patti Lateranensi sottoscritti in data 11 febbraio 1929 da Mussolini e dal cardinale Gasparri, allora segretario di Stato pontificio.
Recependo questi patti concordatari con la Chiesa cattolica, nell'articolo 7, la Carta Costituzionale della Repubblica veniva a creare una situazione parzialmente o pretestuosamente incongrua rispetto alla proclamata pari dignità sociale ed eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, ecc. (art. 2).

Art. 7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
[I Patti Lateranensi sono stati modificati dall'Accordo concordatario del 18 febbraio 1984, reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121].

Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 19
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Art. 20
Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di un'associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

Gli articoli 7 e 8 sanciscono i due principi fondamentali con cui la Repubblica affronta il problema religioso. Il primo si esprime nella distinzione degli ordini fra la dimensione politica e il fenomeno religioso, sia nei suoi aspetti individuali sia in quelli collettivi. Il secondo disciplina il rapporto di bilateralità che riconosce a tutte le associazioni religiose la possibilità di negoziare con lo Stato italiano accordi specifici (concordati) in materia religiosa. I principi del pluralismo confessionale e della neutralità dello Stato in materia religiosa escludono la nascita di situazioni di privilegio o di ostilità verso qualsivoglia culto religioso, imponendo solo il divieto di riti contrari al comune senso del pudore.
La Costituzione riconosce alla Chiesa cattolica non solo l'indipendenza ma anche una sovranità simile a quella di uno Stato, quale essa è. I Patti del Laterano, infatti, hanno dato origine a un Concordato con la Chiesa cattolica regolato secondo modelli di diritto internazionale, mentre le intese intervenute con altre confessioni, ad esempio con la Tavola Valdese, sono considerate convenzioni di diritto pubblico interno.

L'aspetto giusnaturalistico

La Costituzione riconosce il diritto naturale (ius naturae) intimamente legato alla specificità razionale dell'uomo e giustificabile in base ad essa. La Costituzione afferma pertanto l'esistenza di diritti propri della natura umana e per questo inalienabili, ai quali neppure l'individuo può rinunciare volontariamente, e universali.

Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità [...].

Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
[...].

Art. 13
La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
[...].

Art. 14
Il domicilio è inviolabile.
Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.
[...].

Art. 15
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
[...].

Art. 21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
[...].

Quando la Costituzione definisce «inviolabili» alcuni diritti di libertà non vuol dire che essi siano senza limiti e controlli, dato che la Costituzione stessa prevede leggi che li regolamentano.
«Inviolabile», secondo le interpretazioni dei giuristi, vuoi dire «non eliminabile neppure con legge di revisione costituzionale»; le norme di regolamentazione di questi diritti inviolabili stabilite dalla Costituzione, invece, possono essere modificate per adottarle ai tempi, fermo restando che tali diritti vengono considerati così importanti e talmente legati alla natura umana da presentarsi come universali, e quindi non soggetti a essere messi in discussione neppure in futuro.
La libertà di stampa, ad esempio, non può non essere garantita, ma non può nemmeno diventare libertà di ingiuriare, di diffamare ecc. Il limite da porre a queste libertà è però spesso problematico e non sempre è facile distinguere tra il rispetto degli altri e la censura.

Il diritto naturale, infine, si distingue dal diritto positivo, che è l'insieme delle leggi proprie dei diversi popoli. Il diritto positivo è, come tale, diversificato da popolo a popolo, costituito da leggi scritte e decise da un organismo legislatore, mentre quello naturale nasce dalla natura stessa dell'uomo in quanto tale, e quindi è universale e deriva dalla ragione umana.
A volte diritto naturale e diritto positivo possono essere in contrasto. In questi casi si pone il problema della resistenza o della disobbedienza civile contro leggi in palese contrasto con il diritto naturale (Si pensi ad esempio alla schiavitù, che va contro la libertà, un diritto naturale fondamentale, o all'apartheid, la discriminazione razziale che va contro il diritto naturale dell'uguaglianza).
Il concetto di «diritto naturale», peraltro, sembra dare una risposta convincente al problema del relativismo culturale, secondo il quale, dato che i diversi popoli hanno valori diversi, anche le norme giuridiche e i diritti riconosciuti cambiano.
Per questo, l'ONU ha proclamato, il 10 dicembre 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, in modo che costituisse il fondamento comune di tutte le legislazioni del mondo, diversificate poi per altri aspetti riguardanti il diritto positivo.

Contrattualismo e Costituzione

Il contrattualismo sostiene che lo Stato ha origine da un contratto, che impegna tutti i partecipanti, compreso (secondo la maggior parte dei pensatori) il sovrano, il quale quindi deve rispettare ciò che il patto prevede.
La teoria del patto sociale non afferma che, storicamente, in un dato giorno, gli uomini si siano riuniti per sottoscrivere un patto; essa spiega l'origine del potere dal punto di vista logico, in modo da dare un fondamento alla sovranità popolare e alla superiorità della costituzione (il patto) sullo stesso sovrano.
In questo modo si creano le premesse per passare dalla monarchia assoluta (il sovrano è absolutus, sciolto da ogni legame, e non dipende da nessun altro) a quella costituzionale (la costituzione è superiore anche al potere del sovrano, che è tenuto a rispettarla).
In genere, il patto prevede il diritto alla conservazione di sé, il diritto a non essere imprigionato senza prove (l'habeas corpus, affermato già nella Magna Charta), il diritto alla proprietà.

Disposizioni transitorie e finali, XVIII
La presente Costituzione è promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell'Assemblea Costituente, ed entra in vigore il 1° gennaio 1948.
[...]
La Costituzione, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica.
La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.

La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato e nessuna legge può essere in contrasto con i suoi principi. Per questo è stata istituita la Corte Costituzionale, che «giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni» (art. 134).
La Costituzione può essere modificata mediante una complessa procedura, descritta nell'art. 138. In ogni caso, «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale» (art. 139).

La divisione dei poteri

Riprendendo la tradizione liberale, la Costituzione propone uno Stato fondato sulla divisione dei poteri, con particolare attenzione ai rapporti conflittuali che possono nascere fra il potere giudiziario, cui spetta giudicare e risolvere le controversie, e il potere esecutivo, cui spetta il potere di applicare le leggi e di garantire l'efficienza del sistema.

Art. 70
La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.

Art. 76
L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

Art. 87
Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.
[...].

Art. 92
Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

Art. 95
Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.

Art. 101
La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

Art. 104
La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica.
[...]

La Costituzione specifica che il potere legislativo è esercitato dal Parlamento, ossia dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica, in modo collettivo. Il che significa che le singole leggi devono essere approvate dai due rami del Parlamento esattamente con lo stesso testo. Questo bicameralismo perfetto è una garanzia contro l'eventuale insorgenza di tendenze autoritarie in una delle due Camere, ma è evidentemente poco funzionale e attualmente oggetto di progetti di riforma.
Un esempio dell'equilibrio fra i poteri dello Stato ricercato dai costituenti sta nella «delegazione» legislativa sancita dall'articolo 76, in base alla quale il Parlamento, attraverso l'emanazione di una «legge delega», incarica il Governo di formulare testi legislativi in materie indicate dal Parlamento stesso.
Il ruolo del Presidente della Repubblica nella formazione del Consiglio dei ministri è cambiato radicalmente dopo l'introduzione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 e la conseguente drastica riduzione dei numero dei partiti rappresentati in Parlamento. Sino ad allora, infatti, la difficoltà di costruire maggioranze parlamentari eterogenee aveva instaurato una prassi costituzionale (consultazioni, incarichi esplorativi) che assegnava al Presidente della Repubblica un certo margine di discrezionalità nella scelta del Primo Ministro.
Al Presidente della Repubblica spetta il ruolo chiave di rappresentare l'unità nazionale, di realizzare cioè una sintesi unitaria del complesso meccanismo costituzionale. Esplica questo compito esercitando una serie di funzioni e prerogative specificate nell'articolo 87: promulga le leggi approvate dal Parlamento, ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio superiore della Magistratura.

La magistratura è un «ordine», come risulta dall'art. 104, e non un «potere», perché, pur autoregolandosi attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, non possiede un apparato centralizzato o un organo di vertice in grado di esprimersi con una sola voce. Il potere giudiziario si esplica così solo nell'attività dei singoli organi giudicanti, attraverso le singole sentenze.
A partire dagli anni Novanta, dopo una serie di inchieste giudiziarie sulla corruzione politica (la cosiddetta «Tangentopoli») che portarono allo scioglimento di quasi tutti i partiti allora esistenti, si è sviluppata una tensione ancora irrisolta fra l'ordine giudiziario da una parte, il potere esecutivo e l'organizzazione dei partiti politici dall'altra. Alcuni di questi, infatti, hanno interpretato il nuovo ruolo dei giudici come il tentativo di modificare surrettiziamente per via giudiziaria gli equilibri politici scaturiti dalle elezioni.

Il diritto al lavoro

Ponendo il lavoro a fondamento della Repubblica, la Carta esordisce connotando il sistema democratico italiano in senso spiccatamente sociale e solidaristico.
Il principio del lavoro, per il quale non solo la Repubblica italiana è fondata su di esso, ma riconosce il diritto al lavoro di tutti i cittadini, permea di sé tutta la Costituzione italiana, in una certa misura differenziandola da quelle di altri Paesi democratici. I diritti alla proprietà e all'impresa economica privata, infatti, sanciti in altre costituzioni liberali come assolutamente inviolabili, sono introdotti dalla Carta italiana nel quadro di una funzione sociale, devono cioè essere finalizzati non solo all'arricchimento individuale ma anche alla crescita del benessere comune.
Il principio del lavoro suggerisce che lo Stato italiano non debba limitarsi a fissare le regole del gioco economico, come pretendeva il liberalismo classico, ma debba intervenire attivamente per favorire la piena occupazione.

Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
[...].

Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 39
L'organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

L'art. 4 esclude ogni forma di discriminazione nell'accesso all'attività lavorativa, impegna lo Stato a realizzare la piena occupazione e individua nel lavoro non solo un diritto ma anche un dovere solidaristico del cittadino nei confronti della comunità. Mentre nei principi fondamentali il lavoro è inteso in senso generale, come ogni attività che contribuisce al progresso materiale e spirituale della nazione, quindi senza alcuna distinzione fra il lavoro dipendente e l'attività imprenditoriale o di ricerca scientifico, gli articoli dal 35 al 40 si occupano specificatamente dei lavoratori subordinati, la cui condizione, storicamente svantaggiata nei confronti dei capitalisti, deve essere salvaguardata in nome del superiore principio di solidarietà sociale.

Il diritto al lavoro sancito dall'art. 4 non implica però che un cittadino disoccupato possa pretendere dallo Stato la creazione di nuovi posti di lavoro, benché la stessa norma preveda che lo sforzo dei governanti e dei legislatori debba in ogni modo favorire la piena occupazione. D'altra parte, la stessa norma garantisce che nessuno possa essere escluso dal mercato del lavoro o licenziato per cause illegittime, quali il genere sessuale, le opinioni politiche, l'appartenenza razziale.
A parte la proclamazione della libertà dei sindacati (con cui si intendono sia le associazioni dei lavoratori come CGIL, CISL e UIL, sia quelle dei datori di lavoro, come la Confindustria), l'art. 39, che regolamenta la condizione giuridica dei sindacati, rimane tra i meno applicati dell'intera Costituzione italiana. Non essendo mai state emanate le disposizioni necessarie a rendere operativo l'obbligo di registrazione, condizione espressamente prevista per acquisire una personalità giuridica, i sindacati sono rimasti enti di fatto, associazioni ufficialmente non riconosciute. Il che li esenta dalla presentazione dei bilanci societari annuali e da ogni controllo amministrativo, rendendo problematica la verifica della democraticità della loro struttura, nonostante la precisa indicazione in questo senso dell'art. 39.

Il diritto all'istruzione

L'educazione può essere considerata sotto due diversi aspetti:
 - come formazione dell'individuo, della sua personalità e dei suoi valori;
 - come istruzione, cioè come apprendimento di saperi e di competenze che consentono all'individuo di essere in grado di svolgere attività lavorative ma anche, più in generale, di conoscere e capire le dinamiche della società in cui vive.
Per reazione alle impostazioni totalitarie, la Repubblica istituì il Ministero della pubblica istruzione, limitandone il ruolo alla formazione intellettuale e demandando il più ampio processo dell'educazione anche ad altre agenzie, prima fra tutte la famiglia.

Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
[...].

Art. 33
L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

Art. 34
La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Difficile è rispondere alla domanda se la scuola debba o no trasmettere valori. Da un lato, la risposta affermativa sembra scontata, tanto più se si considera che in ogni caso il docente, intenzionalmente o meno, trasmette valori. Dall'altro lato, però, si rischia in questo modo di costruire una scuola vista come educazione e formazione della coscienza, che in parte limiterebbe la libertà.

 

 

 

 

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