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SOCIETÀ, POLITICA ED ECONOMIA
NEL PRIMO NOVECENTO

 

 

FONTI

 

L'organizzazione razionale deve essere alla base di ogni attività umana

Questo brano, tratto dall'introduzione di Principi dell'organizzazione scientifica del lavoro (1911) di Frederick Winslow Taylor (1856-1915), illustra come alla base di ogni attività umana ci debba essere una meticolosa organizzazione. Essa, qui elevata al rango di scienza, permette di ottimizzare i tempi, evitare sprechi e conseguire obiettivi maggiori. Naturalmente tutto ciò non può che essere il frutto di una vera e propria istruzione all'organizzazione, finalizzata a creare del personale specializzato a ogni livello.

La ricerca di uomini migliori e più competenti, dai presidenti delle nostre grandi compagnie giù fino ai nostri domestici, non è mai stata più vigorosa di quanto lo sia ora. E adesso più che mai la domanda di uomini competenti è in eccesso rispetto all'offerta.
Ciò che noi tutti stiamo cercando, comunque, è l'uomo pronto e competente; l'uomo che qualcun altro ha istruito. Solo quando noi comprenderemo pienamente che il nostro compito, così come la nostra opportunità, è nel cooperare sistematicamente per istruire e creare quest'uomo competente, invece che andare alla ricerca di un uomo che qualcun altro ha istruito, noi saremo sulla strada dell'efficienza nazionale. [...]
In passato l'uomo ha primeggiato; in futuro dovrà primeggiare il sistema. Ciò tuttavia non implica che i "grandi uomini" non siano necessari. Al contrario, il primo obiettivo di un buon sistema deve essere quello di sviluppare uomini di prima classe; e con un'organizzazione sistematica l'uomo migliore raggiunge il massimo livello con più sicurezza e rapidità rispetto a prima.
Questa pubblicazione è stata scritta per:
Primo: indicare, mediante una serie di semplici illustrazioni, la grande perdita che l'intero paese sta soffrendo a causa dell'inefficienza in gran parte delle nostre azioni quotidiane.
Secondo: cercare di convincere il lettore che il rimedio per questa inefficienza è nell'organizzazione sistematica, piuttosto che nella ricerca di un uomo insolito e straordinario.
Terzo: provare che la buona organizzazione e una vera scienza, fondata su leggi chiaramente definite, regole e principi. E in seguito mostrare che i fondamentali principi dell'organizzazione scientifica sono applicabili a ogni genere di attività umana, dalle nostre semplici azioni individuali fino al lavoro delle nostre grandi società, che richiede una cooperazione più elaborata. Brevemente, attraverso una serie di illustrazioni, convincere il lettore che tutte le volte che questi principi sono applicati correttamente, i risultati che seguono sono veramente sbalorditivi.
Questa pubblicazione è stata preparata per essere presentata alla Società Americana degli Ingegneri Meccanici. Le illustrazioni dovranno attrarre, si crede, gli ingegneri e gli amministratori delle industrie e delle manifatture e certamente anche molti degli uomini che lavorano in questi stabilimenti. Si spera, comunque, che sarà chiaro agli altri lettori che gli stessi principi possono essere applicati con sforzo uguale a tutte le attività sociali: dall'amministrazione domestica, all'amministrazione delle fabbriche; all'organizzazione degli affari dei nostri commercianti, grandi o piccoli che siano, delle nostre chiese, delle nostre istituzioni filantropiche, delle nostre università e dei nostri ministeri governativi.

F. W. Taylor, The principles of scientific management, Harper & Brothers Pubhshers,
New York 1919; trad. P. Arcangioli.

 

La "guerra civile" delle donne per ottenere il diritto di voto

Emmeline Goulden Pankhurst (1858-1928) fu la principale esponente del movimento inglese per l'emancipazione politica della donna. Dopo aver fondato nel 1903 l'Unione Sociale e Politica Femminile, guidò per parecchi anni le manifestazioni delle suffragette, e fu più volte arrestata e condannata a periodi di detenzione in convitti-prigione (circostanza cui fa riferimento nel discorso di seguito riportato). Emigrata negli Stati Uniti, vi svolse un'attiva propaganda in favore dell'intervento americano al fianco dell'Intesa nella prima guerra mondiale. Ottenuto il diritto di voto per le donne inglesi (in un primo tempo solo per quelle maggiori di trent'anni e con una certa rendita annua), fu eletta in Parlamento come deputato conservatore.
Nei discorsi pronunciati in America, la Pankhurst sosteneva che la mancata concessione dei diritti politici alle donne equivale a un atto di barbarie: come è possibile escludere dalla piena partecipazione politica persone che si fanno apprezzare per le loro qualità e per la loro utilità sociale? Ecco quindi l'invito alle donne: combattano la «guerra civile» per far valere i propri diritti.

Io non vengo qui come un avvocato, perché qualsiasi posizione il movimento suffragista possa occupare negli Stati Uniti d'America, in Inghilterra è passato al di là del regno degli avvocati ed è entrato nella sfera dei politici esperti. È diventato il soggetto di una rivoluzione ed una guerra civile, e così questa sera io non sono qui per difendere il suffragio femminile. Le suffragiste americane possono farlo molto bene da sole. Io sono qui come un soldato che ha temporaneamente lasciato il campo di battaglia per spie are (sembra strano che debba essere spiega ) cosa sia una guerra civile quando la guerra civile è intrapresa dalle donne. Io non so o qui solo come un soldato momentaneamente assente dal campo di battaglia; io sono qui (e ciò, penso, è la parte più singolare della mia venuta) come una persona che, secondo il tribunale del suo paese, è stato deciso non abbia alcun valore in assoluto per la comunità; e a causa della mia vita sono stata giudicata come una persona pericolosa, condannata ad una detenzione penale in un convitto-prigione.
Così vedete che c'è qualche speciale interesse nell'ascoltare una persona così inusuale che si rivolge a voi. Oso dire che nelle menti di molti di voi — forse dimenticherete questa mia piccola ironia — io non sembro né un soldato né un forzato, eppure sono entrambe le cose!
Ora voglio dire a voi che sostenete che le donne non possano aver successo, che noi abbiamo portato il governo inglese al punto che deve fronteggiare questa alternativa: le donne devono essere uccise o devono avere il diritto di voto. Ho chiesto ad alcuni uomini americani in questo incontro: «Cosa direste se nel vostro Stato foste di fronte a questa alternativa, cioè dover uccidere o dover dar la piena cittadinanza a quelle donne che per la maggior parte rispettate, donne che sapete hanno vissuto vite utili, donne che, anche se non le conoscete personalmente, sapete essere animate dalle motivazioni più elevate, donne che sono alla ricerca della libertà e della possibilità di fare qualche servizio di pubblica utilità?» Bene, c'è una sola riposta a questa alternativa; c'è una sola via, a meno che non siate pronti a riportare indietro la civiltà di due o tre generazioni: voi dovete dare il diritto di voto a queste donne. Questo ora è il risultato della nostra guerra civile.

E. Goulden Pankhurst, Discorso del 1913, trascritto da John F. Tinkler; trad. P. Arcangioli.

 

INTERPRETAZIONI STORIOGRAFICHE

 

Il "mito" della Belle Époque

Il mito della Belle Époque come momento irripetibile di serenità e pace, euforia e fiducia nel progresso, viene suggestivamente tratteggiato da Giuseppe Romolotti, che lo contrappone alla catastrofe incombente della prima guerra mondiale. Il brano riprende le immagini dell'Excelsior, un ballo coreografico composto nel 1881 da Romualdo Marenco che ebbe un enorme successo in tutta Europa e soprattutto a Parigi, dove divenne l'emblema della Belle Époque al punto da determinare la costruzione di un apposito teatro, l'Eden, per rappresentarlo quotidianamente. Nelle varie scene, che richiedevano l'intervento di oltre cinquecento tra ballerini e comparse, era raffigurata la lotta tra la civiltà umana, coadiuvata dal progresso, e l'oscurantismo. Nella rappresentazione si portava in scena anche la fiducia in un avvenire di pace e collaborazione tra le nazioni-potenze, simboleggiato dal ballo finale di sei ballerine imbandierate con i colori delle sei principali potenze (Austria-Ungheria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Russia).

Ed ecco albeggiare non sull'Italia soltanto, ma su tutta l'Europa, una radiosa mattinata serena; siamo al primo decennio del '900. Le agitazioni non sono scomparse, ma han trovato ritmo e proporzione adeguata; le grandi conquiste della tecnica cominciano a rendere più grato il vivere quotidiano dei più; un senso di serenità, garbata, composta, proiettata – si sperava – in un lungo futuro, rendeva più spontanei gli atteggiamenti di allegria e meno sguaiate le forzature di vent'anni prima.
Spiccano, in questi anni, espressioni festose e solenni, ma riflettono una realtà di ascesa, di maggior benessere, di nuovi orizzonti intravisti o di conquiste realizzate.
Spiccano, in questi anni, espressioni festose e solenni, ma riflettono una realtà di ascesa, di maggior benessere, di nuovi orizzonti intravisti o di conquiste realizzate.
Quanto sfrenato, insincero, eccessivo e gratuito quel lontano scetticismo, intriso di recriminazioni, rancori e polemiche, altrettanto, invece, sereno, fiducioso e spontaneo (anche se un po' provincialetto) questo nuovo compiacimento universale per il Progresso, per la Scienza, per tante altre divinità novelle, in cui troppo confidava, certo, la presunzione dell'uomo, al sorgere del secolo nuovo.
Come non ricordare l'ingenua goffaggine di quel «Ballo Excelsior» che ha quasi dato la sua impronta ad un'epoca? Accorreva, il pubblico, ed applaudiva; applaudiva al trionfar continuo della bella ragazza – raffigurante la Luce – che, in cento e cento prove, sempre aveva la meglio e sempre trionfava su di uno sfortunato mimo, tutto vestito di nero, che rappresentava l'Oscurantismo.
«Il mondo comincia adesso» parevan dirsi, compiaciuti e sereni i cittadini del primo Novecento. «Per millenni gli uomini hanno vissuto nella ignoranza e nella barbarie; hanno subito guerre e stragi; si son fanatizzati e sgozzati.
Ora non più. Ora gli oscurantismi e i miti sono tutti crollati. E sulle ali di Scienza, Tecnica, Progresso, Lavoro, Commercio, Industria, Agricoltura e via (esaltando a maiuscola innumeri nomi, miti novelli) l'Umanità, affratellata, marcerà verso un'epoca di prosperità e di pace».
Era bello poter credere in tutto ciò. E lo si credeva volentieri.
Irrompevano, ad esempio, sulla scena sei graziose ragazze che rappresentavano, nei variopinti costumi, le sei Grandi Potenze. [ ... ] Eccole, sorridenti e festose, le ballerine della vivace allegoria.
Esse apparivano in scena — ci preme sottolinearlo — forti di una doppia certezza di successo, a parte l'atmosfera di inevitabile frivolezza, a cui è pur lecito indulgere, almeno in questa sede; successo, perché l'affratellamento che, alla fin fine esse rappresentavano in atto, fra tutti gli stati, era in piena rispondenza al clima, se non proprio euforico, certamente ottimistico — del tempo; successo, perché, affiorante dal sub cosciente, un clamoroso plauso al vessillo, all'uniforme, all'insegna, al simbolo della Patria, avrebbe toccato certamente le corde emotive. Si voglia o no, l'Europa non doveva più sciogliersi da quello schema sentimentale, per ciò che attiene alla vita pubblica e politica. Una superba consapevolezza — o almeno, inquieta speranza — di aver superato le fasi provinciali, e di essersi lanciata verso i tempi del cosmopolitismo, o dell'Internazionale, per usare la formula popolare; e, al tempo stesso, un rivendicare, con altrettanto orgoglio e con estrema suscettibilità di bandiera, il proprio «particolare», la Nazione, perfino le sue ambizioni e pretese. Applausi per tutti e due gli ideali, contraddittori, se portati all'estremo, ma felicemente fusi insieme, fin che si stava nel simbolo e nello spettacolo.
[...] Ma Triplice Alleanza, e Triplice Intesa «facevano tanto» equilibrio e simmetria, armonia e pace! Valeva la pena di colorir le cose. Valeva la pena che il sipario calasse fra gli applausi, davanti ad un pubblico convinto e contento. Così, avesse il Cielo voluto, quel sipario non si fosse alzato mai più!

G. Romolotti, 1914 suicidio d'Europa, Mursia, Milano 1966.

 

La città nella società di massa

Lo storico Lewis Mumford ci offre una significativa immagine della società di massa attraverso la vita urbana.

La congestione metropolitana è indiscutibile: la si può scorgere in ogni aspetto della vita urbana. La si riscontra nei continui ingorghi del traffico, nati dall'ammassarsi dei veicoli in centri dove il solo movimento scorrevole potrebbe essere quello delle gambe umane. La si incontra negli affollati ascensori dei palazzi per uffici o negli ancor più affollati mezzi di trasporto pubblici, irranciditi dall'odore dei corpi umani. Non c'è spazio negli uffici, non c'è spazio nelle scuole, non c'è spazio nelle case: persino i morti non hanno spazio nei cimiteri. La sola forma che la metropoli riesca a raggiungere è una forma di massa: la brulicante spiaggia marina o la folla degli spettatori in uno stadio calcistico o intorno a un ring. Con l'aumento delle automobili private, strade e corsi diventano parcheggi e perché il traffico possa proseguire, grandi strade di scorrimento attraversano la città, creando un'ulteriore richiesta di parcheggi e garage. Per rendere accessibile il nucleo della metropoli, i pianificatori della congestione lo hanno già reso quasi inabitabile.

L. Mumford, La città nella storia, vol. III, Etas Kompass, Milano 1967, p. 678.

La città è in certo modo anche l'espressione di una ambivalenza, da un lato agglomerato caotico e congestionato, anonimo e alienante, ma dall'altro anche concentrazione straordinaria di competenze e di conoscenze, di risorse e d'esperienza. Lo stesso Mumford descrive efficacemente anche questo secondo aspetto della città contemporanea.

Questa immensità e questa capacità di conservare sono tra i suoi meriti maggiori. L'ampiezza di esperienze umane che una metropoli ancora sana e dinamica offre è pari alla sua densità e alla sua profondità, alla sua capacità di mettere a disposizione i vari strati della storia e della biografia umana non solo attraverso documenti e monumenti, ma grazie a ciò che le sue straordinarie risorse le hanno permesso di attingere da territori lontani. Una civiltà complessa e poliedrica come la nostra ha bisogno di una stabile organizzazione urbana capace di attrarre e di indurre a cooperare intimamente molti milioni di esseri umani, per- ché portino avanti tutte le sue attività. Ma questa capacità di assorbimento culturale, con la necessità di condensazione e di immagazzinamento, fa della città un agente di assimilazione e di selezione. Se tutti i materiali della nostra cultura fossero disseminati su un territorio troppo esteso, se non fosse possibile radunare in un unico centro i dati e i manufatti importanti per poi ridistribuirli, la loro influenza risulterebbe enormemente inferiore.

L. Mumford, La città nella storia, cit., . p. 693.

La vita urbana diventò in certo modo l'emblema della società di massa, più complessa e più regolata. Per Georg Simmel l'orologio è il simbolo di questa condizione di vita in cui tutto si trasforma in calcolo e gli aspetti quantitativi della vita prevalgono su quelli qualitativi. Alla base di tale realtà c'è il denaro, denominatore comune di tutte le merci e valore quantitativo per eccellenza. È proprio il denaro, in ultima analisi, il fondamento di questo nuovo modo di esistenza, perché, anche se è vero che l'economia monetaria è storicamente presente in molte società, è pur vero che la produzione per lo scambio è diventata la caratteristica dominante di questa società nella quale tutte le relazioni passano attraverso il denaro. Così scrive Simmel:

Lo spirito moderno è diventato sempre più calcolatore; all'ideale della scienza, che è quello di trasformare il mondo in una serie di formule algebriche corrisponde la precisione della vita pratica quale l'ha costruita l'economia monetaria; soltanto essa fa sì che tanti uomini passino le loro giornate a pesare, valutare, calcolare, numerare, ridurre valori qualitativi in valori quantitativi. L'essenza del denaro, che è il calcolo, ha introdotto nelle relazioni tra gli elementi dell'esistenza, una precisione, una sicurezza nella determinazione di quanto è equivalente e di quanto non lo è, una certezza nelle convenzioni e negli accordi degli uomini tra loro, di cui la diffusione a livello universale degli orologi può essere presa come manifestazione oggettiva e simbolo. Ora, sono le condizioni di vita delle grandi città che sono, allo stesso tempo, causa ed effetto del fenomeno. Le relazioni, gli affari del cittadino sono a tale punto multiple e complesse, e innanzitutto, a seguito dell'affollamento di tanti uomini con preoccupazioni differenti, i loro rapporti e le loro attività si ingarbugliano in una rete a tal punto complessa che, senza la puntualità più assoluta nel rispettare gli impegni presi, il tutto crollerebbe in un caos inestricabile. Se, bruscamente, tutti gli orologi di Berlino si mettessero ad andare avanti oppure indietro in modo discordante, non fosse che per un'ora in più, tutta la vita economica e sociale rimarrebbe a lungo sregolata. A questo si aggiunge, fenomeno apparentemente più superficiale, la grandezza delle distanze che fa sì che ogni attesa, ogni spostamento inutile, pro- vochino una perdita di tempo intollerabile. In questo modo, non si può assolutamente più immaginare la tecnica della vita urbana senza che tutte le attività, tutte le relazioni, siano racchiuse nella maniera più precisa in uno schema rigido e impersonale.

G. Simmel, Filosofia del denaro, in F. Choay, La città, Einaudi, Torino 197.3, pp. 420-421.

 

Conseguenze sociali della seconda rivoluzione industriale

Una delle conseguenze sociali dell'estendersi del processo di industrializzazione riguardò la famiglia, che si trasformò da famiglia patriarcale a famiglia nucleare. Lo storico Ruggiero Romano mostra la crisi dei valori tradizionali indotta da questo cambiamento.

La rottura del nucleo familiare di tipo tradizionale – patriarcale – costituiva la più grossa minaccia alla conservazione dei vecchi valori che proprio attraverso l'esempio e l'abitudine espressi dalla famiglia potevano essere conservati. La dispersione della famiglia patriarcale e la sua progressiva sostituzione con la famiglia di tipo nucleare, con una labilissima percezione dei rapporti di parentela esterna, ha significato (insieme con altri fattori: in primissimo piano, il lavoro femminile) la fine (il processo, a vero dire, è ancora in corso) di tutta una serie di valori, di tutta una «morale»: dalla solidarietà tra i membri della famiglia allargata (fino a giungere a dei non consanguinei), al ruolo dei genitori (ed. anche dei nonni) come educatori e trasmettitori di esperienza, alla coabitazione estesa a più gradi di parentela. La ragione principale di tutto ciò va certamente vista nella fine del lavoro a domicilio (e tale è il lavoro artigianale, ma come tale va inteso anche quello contadino) e nella nascita del lavoro in fabbrica, che distoglie fisicamente i suoi addetti dalla quotidiana realtà della vita domestica.

R. Romano, Industria: storia e problemi, Einaudi, Torino 1979.

La crescita dei ceti medi fa parte integrante delle trasformazioni che interessano la società tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento. L'allargarsi di questo strato sociale, esteso nel settore impiegatizio, è stato oggetto di studio da parte di molti sociologi, che hanno preso in esame le abitudini di vita, la mentalità, il modo di passare il tempo libero, il significato del consumismo. Il nome con cui gli impiegati vengono indicati da un famoso sociologo americano, Charles Wright Mills, «colletti bianchi», che è anche il titolo di un suo libro, è diventato emblematico di uno stile di vita, di una mentalità che si è andata consolidando ed estendendo. Il consumismo diventa un modo per acquisire uno status sociale, anche temporaneamente, diverso, e compensare con l'illusione una vita monotona e alienante. L'industria del tempo libero, delle vacanze, è la risposta a questi bisogni sociali dei nuovi ceti medi.

Le masse della città non vedono l'ora d'arrivare alle vacanze non "tanto per cambiare" e non solo per "riposarsi dal lavoro": il significato che sta dietro queste espressioni è spesso una più ambiziosa rivendicazione di prestigio sociale. Infatti quando si è in vacanza si può comperare la sensazione di appartenere a uno status più elevato, anche se solo per breve tempo. La località balneare costosa, dove non si è conosciuti, l'albergo elegante, sia pure per tre giorni e tre notti, la crociera in prima classe per una settimana. Gran parte dell'apparato delle ferie è collegato a questi cicli di status; sia gli inservienti che la clientela recitano come attori dello stesso sistema, come se esistesse un mutuo consenso a condividere l'illusione felice. Per provare questa illusione una volta all'anno, spesso si fanno sacrifici per lunghi periodi di grigie giornate di lavoro. Le due settimane luminose alimentano i sogni di una vita squallida e dura. Dal lato psicologico, i cicli di status offrono, per brevi periodi, un'immagine festosa di se stessi che contrasta decisamente con quella della realtà quotidiana. Essi soddisfano temporaneamente l'alto concetto che una persona ha di sé, permettendole in tal modo di aggrapparsi a una falsa coscienza della propria posizione di status. Sono tra le forze che razionalizzano la vita e la rendono più sopportabile, che compensano dell'inferiorità economica permettendo di soddisfare temporaneamente l'ambizione al consumo.

CH. Wright Mills, Colletti bianchi, Einaudi, Torino 1971, pp. 338-339.

 

La velocità, il nuovo mito della società di massa

Le trasformazioni indotte dallo sviluppo tecnologico tra la fine dell'Ottocento e R primo Novecento furono così radicali e permanenti da provocare non soltanto un nuovo stile di vita, ma da modificare la stessa percezione del tempo e dello spazio. Innovazioni come il telefono, la radiotelegrafia, i raggi X, il cinema, la bicicletta, l'automobile e l'aeroplano agirono direttamente sulla maniera di comunicare e di muoversi, dando nuovi valori al tempo. La velocità, amata ed esecrata nello stesso momento, divenne il simbolo del nuovo modo di vita, oggetto di critiche radicali da parte di chi rimpiangeva i ritmi più tranquilli del passato, di entusiastici elogi da parte di chi vedeva la possibilità di raggiungere nuovi record, quasi provando l'ebbrezza dell'onnipotenza.
Lo storico delle idee Stephen Kern ha analizzato il rapporto tra scoperte tecnologiche e percezione del tempo e dello spazio; così descrive l'impatto sociale di due trasformazioni chiave dell'epoca, l'automobile e l'elettricità:

L'automobile catturò l'immaginazione negli anni '90 e divenne il mezzo di trasporto principale nei primi anni del secolo ventesimo. In Francia c'erano circa 3.000 automobili nel 1900 e circa 100.000 nel 1913. Tra il 1896 e il 1900 apparvero almeno dieci giornali sull'« automobilismo », tutti attenti ai record sempre nuovi di velocità, che nel 1906 avevano superato i duecento chilometri l'ora. Osservandone l'influenza, il romanziere francese Octave Mirbeau mescolò metafore con la stessa rapidità di movimento del suo soggetto: la mente dell'uomo moderno. Sotto l'impatto dell'automobile essa è divenuta una «pista senza fine»: «i suoi pensieri, sentimenti e amori sono un turbine di vento; dappertutto la vita si precipita furiosamente come una carica di cavalleria, e svanisce cinematograficamente, come gli alberi e i profili lungo una strada. Ogni cosa intorno all'uomo salta, danza e galoppa in un movimento sfasato rispetto a lui» [...].
Nulla si muoveva più rapidamente dell'elettricità che correva attraverso i condotti, dando energia ai motori e accelerando tutta una serie di attività. Il primo tram elettrico fu messo all'opera da Werner Siemens, a Berlino nel 1879; il primo tram in America correva tra Baltimora e Hampden nel 1885: essi scivolavano sul centro cittadino, come quelli che contrassegnavano il ritmo regolare del tempo pubblico nella Dublino di Bloom. La sotterranea elettrificata di Londra fu completata nel 1890, e nel decennio seguente ci fu dappertutto una proliferazione di ferrovie elettriche. Negli Stati Uniti le 1.261 miglia del 1890 salirono alle 21.290 miglia del 1902. I visitatori all'esposizione mondiale di Parigi del 1900 furono impressionati dal nuovo ascensore Otis e da un marciapiede mobile, progettato dai Francesi, che rendeva più celere il traffico pedonale. Il telefono accelerò le transazioni di affari, e consentii a Wall Street di diventare un autentico centro finanziario nazionale, accrescendo la liquidità dei titoli e la velocità di raccolta dei fondi. J.P. Morgan evitò un panico finanziario nel 1907, quando per telefono egli elargì 25 milioni di dollari di credito a parecchie banche importanti minacciate da prelievi eccessivi. La grande centrale elettrica che fu aperta alle cascate del Niagara nel 1895 convertì la corrente impetuosa dell'acqua in un'ancor più rapida corrente impetuosa di elettricità, che trasformò il ritmo della vita.

S. Kern, Il tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 144-145.

Il telegrafo modificò il linguaggio giornalistico ed ebbe indirettamente influenza anche su quello letterario.

La tecnologia della velocità influenzò la cronaca dei giornali e modificò il linguaggio della comunicazione giornalistica. Il 12 febbraio 1887, un cronista del Boston Globe usò per la prima volta un telefono per riferire un discorso fatto da Graham Bell a Salem, nel Massachusetts, e nel 1880 il «Times» di Londra installò una linea telefonica diretta con la Camera dei Comuni, per guadagnare 45 minuti nella cronaca dei dibattiti in tarda serata sulla loro edizione del mattino. In un saggio del 1904 su Macchine e stile inglese, Robert Lincoln O'Brian notò che l'uso del telegrafo si era sempre più accresciuto non appena era aumentata la necessità di una cronaca rapida: poiché l'economia dell'espressione produceva risparmi monetari, i cronisti erano inclini a scrivere le loro storie con il minor numero possibile di parole. Il telegrafo incoraggiò anche l'uso di parole non ambigue, per evitare qualsiasi confusione, e il linguaggio del giornalismo risultò più uniforme, allorché certe parole furono più frequentemente usate. Espressioni avverbiali all'inizio di una proposizione erano particolarmente «pericolose», poiché potevano essere confuse con la proposizione precedente, e gli scrittori usarono la sintassi più semplice; l'informazione tendeva a essere scritta con un minimo di punteggiatura; «la delicatezza, l'intreccio, la sfumatura del linguaggio è messa in pericolo dal telegrafo», concludeva O'Brian, cosicché la necessità di velocità, chiarezza e semplicità formava un nuovo stile «telegrafico». Non c'è dubbio che la semplificazione della lingua inglese in Hemingway fu in parte una conseguenza della sua esperienza come corrispondente dall'estero, costretto a preparare i suoi articoli per la trasmissione via cavo attraverso l'Atlantico.

S. Kern, Il tempo e lo spazio, cit., pp. 146-147.

 

La questione femminile: l'accesso alla cittadinanza

La ricercatrice Mariette Sineau ci presenta il difficile e contrastato cammino verso la conquista dei diritti civili e politici delle donne negli Stati europei e nell'America settentrionale tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento.

In Inghilterra, un dato storico ha senza dubbio accelerato la liberazione giuridica delle donne1: la precoce industrializzazione del paese. Esigendo una grande quantità di mano d'opera ha portato con sé una necessaria estensione della libertà civile delle donne. In contrasto con una Francia rimasta più rurale e che, in materia di emancipazione femminile, dovrà a lungo accontentarsi di un solo e timido emendamento al Codice civile (la legge del 1907 sulla libera disposizione del salario per la donna sposata).
Nei paesi nordici e anglosassoni, alla concessione del diritto di voto alle donne è seguita subito l'universalizzazione (maschile) del suffragio. Universalizzazione a volte tardiva: occorre ricordare che, in Inghilterra, alla vigilia del primo conflitto mondiale, la legislazione riposa ancora sulle «franchigie», cioè su una certa forma di suffragio su base censitaria? Negli Stati Uniti, tuttavia, le femministe, dopo la guerra di secessione, [...] devono lottare faticosamente per tre quarti di secolo perché sia finalmente votato, e poi ratificato nel 1920, l'emendamento Suzan Anthony, che rende il suffragio femminile un diritto costituzionale. [...] Il fatto che il movimento suffragista (fuorché negli Stati Uniti) abbia navigato sull'onda che portava alla democratizzazione delle istituzioni, aiuta a comprendere anche la precocità delle sue vittorie. Le scandinave sono state le prime ad arrivare alla cittadinanza politica, per lo più prima o durante la grande guerra; imitate ben presto, una volta firmata la pace, da. quasi tutti i paesi europei non latini. Così che, alla fine degli anni Venti, nell'Europa settentrionale (Belgio escluso), come nell'America del Nord (Quebec escluso), le donne hanno concluso la loro batta~e per l'uguaglianza politica. Alla Liberazione, la loro esperienza di cittadine e di elette è già quasi antica, e varia dai quarant'anni delle finlandesi ai tredici delle inglesi. Più antica ancora se si ricorda che, in certi casi, il loro tirocinio ha avuto inizio su un diritto di suffragio locale, sia questo censitario o aperto a tutte (nella Federazione Americana, le donne possono votare dal 1869 nello Stato del Wyoming, e dal 1893 in Colorado; in certi Stati unitari votano a livello municipale, a partire dal 1901 in Norvegia, 1908 in Danimarca, 1909 in Islanda).
In materia di parità civile, i grandi precursori sono stati i paesi di Common Law
2. Nella maggior parte degli Stati d'America, e soprattutto in Inghilterra – precedente più evidente per i paesi della vecchia Europa – la concessione dei diritti civili alle donne sposate ha preceduto la concessione dei diritti politici. A metà del XX secolo, sono già più di sessant'anni che in Inghilterra le mogli hanno acquisito la loro indipendenza rispetto ai mariti, sia per quanto riguarda i loro beni, sia per quanto riguarda la loro persona. Instaurando il regime della separazione dei beni, il Married Women's Property Act del 1882 riconosce alla donna la piena capacità di disporre della sua fortuna e insieme di stipulare un contratto. Nei paesi di Codice civile la legge inglese ha l'effetto di una bomba: i giuristi, anche i più liberali, gridano all'anarchia nella coppia, le femministe se ne servono come di un faro che le guida alla libertà.
La parità di padre e madre dinanzi ai figli, inizialmente non prevista dalle regole generali del Common Law, è stata introdotta molto presto da successive disposizioni di legge (in Inghilterra, le leggi del 1886 e 1925). Dopo la seconda guerra mondiale, l'evoluzione è quasi compiuta: la maggior parte delle province canadesi e degli Stati d'America riconosce esplicitamente la parità dei coniugi dinnanzi ai figli.
Nel 1945 le donne scandinave non hanno nulla da invidiare alle anglosassoni per quanto riguarda l'estensione dei loro diritti civili: le donne sposate hanno ottenuto la capacità legale negli anni Venti (prima in Norvegia) e dividono con il padre tutta o parte della patria potestà. Quanto alle tedesche – ancora vessate dal Codice civile del 1896 (il Bürgerliches Gesetzbuch o BGB) – , esse dovranno la parità alla promulgazione, nel 1949, della legge Fondamentale. Ponendo che «gli uomini e le donne hanno uguali diritti» questa prevede (nel suo articolo 117) che le leggi incompatibili con i principi di uguaglianza cessino di avere effetto al 31 marzo 1953. Ne deriva che da questa data (e nell'attesa della votazione di nuove leggi, tra cui quella del 1957 sulla parità dei sessi) le donne si vedranno riconoscere dei diritti che il Codice civile non accordava loro (in particolare in materia di patria potestà).
L'esempio della Repubblica Federale è sorprendente, se paragonato alla Francia. In questo paese, infatti, il principio formale della parità tra i sessi – proclamato nel preambolo della Costituzione del 1946, ripreso dalla Costituzione del 1958 – ha potuto coesistere con un Codice civile che istituzionalizzava l'ineguaglianza delle donne sposate. In Italia, si è verificata più o meno la stessa cosa. Paesi diversi, diversi costumi giuridici...

M. Sineau, Le donne nella sfera politica, in Storia delle donne, Il Novecento, a cura di F. Thebaud, Laterza, Roma-Bari 1992.

1 In Inghilterra... donne: in Gran Bretagna le donne sposate ottennero uguaglianza di diritti civili con gli uomini fin dal 1882, il diritto di voto nel 1918. In Francia i diritti civili furono conquistati solo nel 1938, il diritto di voto nel 1944.
2 Common Law: diritto comune. È il sistema giuridico sviluppatosi in Gran Bretagna e da qui diffusosi in vari paesi anglosassoni (USA, Canada, Australia ecc.). La sua caratteristica principale è quella di essere costruito prevalentemente in via giurisprudenziale: i giudici creano il diritto partendo dai singoli casi affrontati. La legge ha quindi in questi Paesi una minore rilevanza rispetto ai Paesi dove i sistemi giuridici sono derivati dal diritto romano.

 

 

 

 

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